Patriarcato di Dardania

Introduzione

Non sarebbe strano trovare persone che fuggono da qualcosa per strada, raccolti in grandi convogli, pieni di speranze e diretti all'orizzonte. Così è stato per queste genti, uniche nel loro mondo.
Questa popolazione si è insediata in delle terre apparentemente disabitate, dopo essere stata cacciata dalla loro terra originaria, il ducato di Corrovia, in seguito ad una nuova religione che ha causato una violenta guerra civile.

I dardaniti hanno una fortissima fede: la più potente delle medicine, la più affilata delle lame, la più robusta delle armature. Il sole, la luna e le stelle vegliano su ogni uomo, donna e bambino, i guerrieri si scontrano con la morte con la volontà di rispecchiarsi nei mitologici arcangeli combattenti, i sapienti provano a superare i limiti della loro mente per guardare tra gli astri e osservare gli dèi.

Gli uomini di Dardania sono certi di essere le creature privilegiati del creato, poiché a loro gli dèi hanno concesso un'anima fatta di luce, e gli hanno affiancato gli angeli come guardiani perfetti. Chi non abbraccia il credo delle stelle vive avvolto dal buio, sia nella vita che nella morte.
Essi in genere hanno capelli e carnagione chiari, con una preponderanza del castano. Rarissimi sono i casi di dardaniti con capelli rossi o peggio ancora neri: i due colori sono associati all'eccesso nei vizi ed all'inclinazione al peccato. Sono divisi in tre strati sociali con poca mobilità: per primi il clero ed i suoi rappresentanti, poi i commissari laici ed infine tutti coloro che non rientrano in queste prime due categorie chiamati soltanto “popolani”.

La loro società valuta molto il rispetto reciproco tra i suoi membri. Un dardanita sarà quasi certamente educato e ben disposto nei confronti di un altro, offrendo cibo e aiuto al viaggiatore e al povero. Tuttavia hanno comportamenti molto meno magnanimi con coloro che non appartengono alla loro fede. Eretici, pagani ed infedeli non avevano spazio nella gloria del Cielo, perché dovrebbero averne nel mondo? I più lungimiranti o tolleranti tuttavia, hanno un approccio semplicemente molto distaccato, più che quello apertamente ostile o anche violento dei più radicali. Non di rado, i cavalieri sacri dell'Ordine del Crepuscolo compiono sortite contro le numerosissime popolazioni indigene oltre i confini del patriarcato.

I dardaniti che possono permetterselo prediligono colori come l'arancione, l'azzurro, l'argento o il bianco, nelle tonalità che più si riescono ad avvicinare ai concetti del Sole, della Luna e della luce; il giallo dorato è riservato esclusivamente all'Ordine del Crepuscolo e il blu scuro al clero. Ogni dardanita ha con sé il simbolo sacro di almeno una divinità o arcangelo.

I. Geografia

La terra colonizzata dagli esuli è ad est rispetto la Corrovia, ma possiede un clima leggermente meno freddo del continente, è stata battezzata. La regione dove sorge sul sito dell'approdo Ferlas, la città più grande, viene chiamata Messenia (in onore a Maszevic) ed è la più densamente popolata e antropizzata, in più ad essere all'estremo ovest del continente.
Oltre alla città sulla foce del fiume Horm ci sono numerosi insediamenti verso l'entroterra, maggiori in prossimità del fiume, edificati man mano che le foreste e le paludi vengono ripulite (e che la cancelleria rilascia le certificazioni necessarie).

Lungo le sponde del fiume sono state costruite torri di guardia e piccoli avamposti, per pattugliare il confine sud del patriarcato, coincidente con il corso d'acqua. Ad est della Messenia, superato il confine delle paludi, si apre una catena di basse montagne non ancora esplorate del tutto. Qui la presenza militare è più forte a causa dei frequenti scontri con le popolazioni indigene; essa è denominata Valle di Porta, essendo l'accesso principale verso i territori restanti. La fortezza di Galaschitt è il centro amministrativo della regione, oltre che acquartieramento dell'ampia guarnigione.
A nord il territorio è coperto da foreste più dense, ma dopo alcune miglia gli alberi lasciano il posto ad un ampia regione di praterie puntellate di numerosi piccoli laghi. Qui i coloni hanno incontrato comunità più nutrite di popoli indigeni. Gli sforzi si sono limitati a pochissimi insediamenti poco più grandi di fattorie, accentrate attorno alla cittadina di Tulsa, sulla sponda meridionale del lago Veliza.
Attualmente il nome del continente insediato dagli esuli origina dagli archivi del ducato antecedenti alla migrazione: Dardania.

II. Amministrazione

Gli esuli hanno importato diverse istituzioni dalla Corrovia, riadattandole alle nuove ideologie sviluppate lontano dalla loro terra.
La società è ancora stratificata in una struttura quasi piramidale, con in cima gli astromanti e lo ierofante, un'astromante a capo del clero e massima autorità spirituale, designato come successore dal precedente detentore della carica (così come Iunan scelse Maszevic come successore). Lo ierofante supervisiona gli studi dei libri sacri e dei misteri delle stelle, presiedendo la cattedrale astrale di Ferlas dove egli risiede, oltre che a custodire il corpo di leggi dello stato.
Il contraltare dello ierofante è la carica di margravio, il responsabile laico degli affari di governo, derivante direttamente dalle antiche leggi e convenzioni corroviane. Esso non è vitalizio come lo ierofante, decadendo dopo un decennio, viene eletto da un'assemblea di tutti i langravi e rappresentati dei villaggi, e non è possibile ricoprire la carica per due volte. Il compito del margravio è di amministrare la giustizia e garantire l'ordine pubblico, sia nella capitale che nel resto del patriarcato, oltre che a poter richiamare al servizio di milizia i sudditi dello ierofante.

Il territorio civilizzato, attualmente diviso in sette distretti, è in espansione. I sette distretti comprendono il patriarcato di Ferlas, storicamente sotto il controllo esclusivo dello ierofante, e la marca di Galaschitt, possedimento del margravio. Gli altri cinque distretti intermedi – Elide, Megaride, Istiea, Focea ed Etolia – sorgono tra Ferlas e Galaschitt, e godono di un certo livello di autonomia per quanto riguarda la riscossione delle imposte e l'esplorazione dei confini.

Di questi cinque, l'Elide e la Focea sono governate da un rappresentante scelto dallo ierofante, il diacono. L'Istiea e l'Etolia sono sotto il controllo di un langravio, designato dal margravio e suo rappresentate. In sostanza sia i diaconi che i langravi possiedono le stesse prerogative, gli stessi poteri e gli stessi compiti, con l'unica eccezione della marca della Megaride, divisa in Megaride occidentale, dove vi è insediato un diacono con capitale Kelisa, e Megaride orientale il cui langravio risiede a Tulsa.
Ulteriori appendici dei poteri giurisdizionali e fiscali di ciascuno delle due istituzioni, sono i monasteri e le assemblee. Dei primi ce ne sono in media uno per distretto, possiedono cospicui patrimoni terrieri e sono autorizzati a riscuotere le imposte dovute al diacono in sua vece, oltre che a essere un luogo di studio della sacra scienza astrale e di formazione per astromanti e membri del clero.

Le assemblee sono la possibilità per i sudditi di risolvere le piccole dispute e problemi di ogni giorno, senza doversi rivolgere al tribunale del monastero o del langravio. Ciascuna comunità possiede un rappresentante eletto alla maggioranza, per una sua qualità. Egli riceve dal governatore un sigillo che lo rende un commissario dello ierofante, con poteri simili ad un funzionario di basso rango, tra cui il poter formare una milizia e arrestare temporaneamente i criminali, fino all'arrivo dei soldati del giudice. Essendo le assemblee sanzionate dallo ierofante, ma nelle prerogative del margravio, spesso queste e le delibere dei monasteri sono in contrasto e funzionano da contrappeso l'una per l'altra.

Al di sotto e nelle intercapedini di questo sistema si sono formate varie libere corporazioni di mestiere, in grado di organizzare in maniera leggermente grossolana ma efficace i vari artigiani. Queste specialmente subiscono (consciamente nella maggior parte dei casi) le influenze della politica, necessitando che un langravio o un diacono rilasci la licenza affinché possano gestire come un unico corpo le questioni legali degli aderenti.
Le corporazioni non sono abbastanza potenti da creare un monopolio di un bene o di un artigianato, ma riescono a far sentire il loro peso quando i vari distretti iniziano progetti edilizi o di espansione coloniale. Attualmente, le corporazioni stabilite sono quella dei costruttori, dei metallurgi, dei falegnami, dei tessitori e dei tagliapietre.

III. Cultura

La società dardanita è fortemente intrisa del culto fondato da Iunan duecento anni fa, con l'alfabetizzazione diffusa quasi esclusivamente fra il clero ed i funzionari laici. Basandosi sull'osservazione dei movimenti e dei comportamenti dei corpi celesti, le loro influenze sul mondo sono la base di molti elementi della loro cultura; iniziando dal calendario strutturato attorno ai periodi di rotazione della luna del pianeta, con mesi dodici mesi di approssimativamente ventinove o trenta giorni l'uno.

Ogni villaggio per quanto piccolo sia ha una cappella, una porzione di terra collegata ad essa le cui rendite sono a disposizione del sacerdote di ruolo ed almeno un appezzamento di terra comune designato come cimitero.
Un giorno della vita di un dardanita è scandito da almeno tre momenti fondamentali e comuni a tutti i ceti e ranghi. Al mattino, due ore dopo l'alba suonano le campane del tempio, chiamando a raccolta all'interno della struttura l'intera comunità per il ministero mattutino.
In seguito i lavoratori aprono le botteghe, i contadini si dirigono verso i campi e le istituzioni iniziano formalmente la loro attività. Sia nei campi che vicino case e strutture si possono vedere icone votive rappresentanti pochi simboli universalmente conosciuti: il sole, la luna, o i sei esarchi angelici.

I nuclei familiari tengono in grandissima considerazione i membri anziani di ambo i sessi, dato che Iunan viene riverito come il grande patriarca grazie a cui esiste la Dardania stessa. Non a caso gli anziani ( o le anziane) di un villaggio possono presiedere le assemblee ed ottenere la nomina di rappresentante del langravio. Essi inoltre sono incaricati di insegnare ai bambini le leggi basilari della loro comunità, mentre il restante insegnamento (i precetti dell'Ascensione, le festività, le liturgie, ecc.) vengono insegnati dai sacerdoti nelle scuole del tempio. Tuttavia è frequente che gli anziani ed i ministri di culto travalichino l'uno nelle competenze dell'altro (spesso di proposito).

La giornata si ferma per un intervallo variabile quando il sole raggiunge la metà del cielo. Anche la pausa del “mezzo giorno” viene annunciata dai rintocchi del campanile della chiesa. Tutti i lavori semplicemente si fermano per una rapida preghiera e la consumazione di un pasto durante il riposo. Il giorno finisce al calare del sole, coincidente con un'ultima liturgia della “questua” e da lì in poi gli abitanti dedicano qualche ore della sera all'ascolto dei racconti cantati nelle locande, a piccoli lavori caserecci come il ricamo, o altre attività poco faticose.

In virtù della reverenza espressa per gli anziani, tutte le forme di apprendistato sono fortemente gerarchizzate. Tutti i nuovi garzoni e manovali portano il massimo rispetto verso il maestro sotto il quale lavorano, pratica integrata dagli anni di esperienza imposti dalle corporazioni di mestiere per poter tentare l'esame e divenire un libero artigiano, non più soggetto all'autorità del maestro.

Nonostante il lungo viaggio e le nuove idee elaborate negli anni, taluni aspetti della cultura della natìa Corrovia sono stati adattati alla nuova vita in Dardania. Oltre alle istituzioni, la predominante cultura militare del ducato è stata riadattata al credo astrale, amalgamandola con parte dei precetti dell'Ascensione, della cosmogonia e delle leggende angeliche.
La vecchia dedizione all'impresa guerriera non ha una presa paragonabile a quella che ha in Corrovia. È abbastanza diffusa fra i giovani che più ambiscono a farsi un nome andando incontro ai pericoli della loro terra, impugnando le armi come volontari nella milizia, come cacciatori o gruppi di esploratori e pionieri verso le regioni non ancora civilizzate. Abbastanza diffusi sono anche i combattenti professionisti assoldati per rappresentanza durante i duelli giudiziari.

Inoltre, non pochi soldati quando mossi maggiormente dalla fede, si rifanno al mito dell'arcangelo primarca Mikha'el, generale delle armate del dio Sole e “cavaliere astrale”.
L'avvicendamento stagionale viene calcolato con discreto anticipo tramite l'osservazione delle fasi sia della luna che del sole da parte del clero. In attesa di tali eventi, tutti i villaggi si preparano alle celebrazioni di solstizi, equinozi, raccolta, semina e altre eventualità. Tradizionalmente sono quattro le feste universalmente riconosciute ed accettate, corrispondenti agli inizi delle stagioni ed alla loro fine, ed i sei giorni dedicati al culto di ciascun arcangelo.

III.a L'Ordine dell'Aurora

Moltissimi combattenti credono nella figura dell'arcangelo primarca Mikha'el, e combattono per la gloria degli dèi. Alcuni si mettono al servizio dei diaconi o dello ierofante stesso, pattugliando le strade e proteggendo i viaggiatori come il resto della milizia.
Di quelli che restano in servizio per più tempo, la loro fede e la loro fedeltà vengono sempre indagate e messe alla prova, diventando sempre più meno soldati del patriarcato quanto servi dello ierofante. Nel tempo questa soldatesca “speciale” ha necessitato di luoghi a sé stanti dove venire stanziata e addestrata, ed i due santuari di frontiera a Galaschitt e a Tulsa sono stati fondati insieme al palazzo Vonich a Ferlas.

Gli uomini sotto il vessillo della chiesa partono come poco più che scudieri, e vanno a vivere in uno dei distretti sotto un diacono per servirlo, sotto il comando di un cavaliere di rango superiore. Essi iniziano un percorso simile a quello dei monaci, fatto di preghiera, meditazione ed in questo caso non di contemplazione ma di addestramento. Il contatto con le famiglie viene ridotto al minimo ed i loro averi severamente limitati.
Il percorso per superare lo status di iniziati è mirato a purificare l'anima dalle tentazioni peccaminose e rafforzare il corpo poiché sia degno di accogliere uno stato nuovo e migliore dell'essere. Quando il cavaliere veterano che sovrintende l'addestramento li ritiene maturi a sufficienza, li porta a sostenere una prova che sancisce il loro passaggio a veri e propri cavalieri (venendo loro assegnato, fra le restanti cose, un cavallo).
Facendo ciò essi giurano di difendere la fede e riconoscono lo ierofante come unico e solo governante del popolo, per volontà e grazia divina, fanno voto di castità, obbedienza e povertà, di proteggere i deboli e gli infermi e di distruggere i nemici della fede.

Il dettaglio più caratteristico della cerimonia d'investitura, è il momento in cui il cavaliere giura davanti all'altare del dio Sole, sotto lo sguardo degli arcangeli, ed ingerisce il “mistero” somministratogli dallo ierofante in persona. Esso è una sorta di piccolo e sottile boccone di pane, sagomato come una piuma dalla forma arricciata, e realizzato con un frammento delle piume delle ali dell'arcangelo primarca Mikha'el.
Mangiandolo, il cavaliere riceve la benedizione ultima che gli dona vigore fisico ed una fede pressoché incrollabile. C'è chi dice che appena dopo i cavalieri assumono il Mistero, il loro comportamento e la loro personalità hanno un cambio quasi repentino, ma viene imputato alla potenza della benedizione ricevuta.

III.b L'Ordine del Crepuscolo

Alcuni guerrieri che scelgono di unirsi alle armate della chiesa possono riporre la loro fede non solo nella divina giustizia di Mikha'el, ma anche nella figura del suo messaggero, Uri'el. Nella loro vocazione riversano i loro pensieri ed i loro ideali, che durante il loro addestramento emergono durante le preghiere, inclinandoli verso un aspetto complementare a quello dell'arcangelo primarca.
Gli scudieri vengono incaricati alle volte di pattugliare le aree di competenza del diacono, e di far rispettare la legge. Alcuni favoriscono il compito di proteggere le comunità e soprattutto di far rispettare l'ordine. Nel tempo diversi cavalieri hanno perseguito questa scelta, al punto da convincere lo ierofante Tunobic a fondare un intero ordine per essi, cinquant'anni fa.

L'Ordine del Crepuscolo raccoglie in sé i cavalieri che hanno fatto dei comandamenti dell'arcangelo esarca una ragione di vita. Ciascuno di essi vede come metodo di preservazione della società tramite l'annientamento incondizionato di traditori, eretici e dissidenti, senza spazio alcuno per pietà o redenzione.
Gli iniziati di quest'ordine vengono addestrati nelle stesse strutture dell'Ordine dell'Aurora. Vengono trasferiti quando sono prossimi alla fine della loro formazione, che viene integrata con delle nozioni più specifiche ai loro compiti. Vengono impiegati per soffocare rivolte, sterminare culti proibiti dalla chiesa ed eliminare membri scomunicati o fuggitivi.

Le loro prerogative sono estese al punto che i cavalieri del Crepuscolo sono abilitati a formare giurie in grado di comminare pene di qualsiasi tipo, ma che spesso a causa dell'obiettivo dei loro compiti, raramente differiscono dalla pena di morte. La loro fortezza principale è il castello di Kewel, nella Messenia, dove tradizionalmente risiede il gran maestro dell'Ordine.

IV. Religione

“Gli dèi popolano il cielo ed il loro volto è visibile in ogni giorno che si vive”.
La religione dardanita può essere riassunta in questa frase. Quasi tutte le divinità influenzano in maniera diretta la vita di tutti, non è difficile credere alla loro esistenza quando il sole sorge sempre e nutre i raccolti, mentre la luna rischiara il buio e governa le acque ed insieme ad essa milioni di stelle circondano tutto il creato. E per ogni cosa che si può vedere ad occhio nudo, ci sono cose che vivono negli spazi siderali, potenti quasi come gli dèi ma servi di essi.

La prima divinità di culto è il sole, la stella più luminosa e più potente, donatore di vita agli uomini per passione incondizionata. Emblema dell'autorità dello ierofante e riprodotto pertanto sui documenti ufficiali da egli emanati. Spesso viene riprodotto su ciondoli, anelli ed altri ninnoli e regalato come segno di buon auspicio per una gravidanza o per commemorare una nascita. Quando apposto all'entrata di un edificio ne viene invocata l'autorità di protettore.
La luna è il secondo dio che compone il dittico del culto primordiale fondato da Iunan. Governatore delle acque e sovrano delle tenebre, essendo il solo in grado di combatterle con una luce propria. Tradizionalmente ritenuto anche il protettore contro il buio fra il mondo e le fasce stellari, siccome ruota il suo lato lucente sia verso il pianeta che verso il cielo, è associato al giuramento dei guerrieri che servono nelle armate dello ierofante e invocato in esorcismi. Il simbolo viene solitamente indossato dai combattenti.

IV.a Libri sacri

La base della religione dardanita sta in una serie di libri attribuiti Iunan e a Maszevic, nell'esattezza le tre opere: La luce stellare, L'astro interiore e le Cento luci.
Il primo è stato vergato e firmato da Iunan in quanto esso è la sintesi della sua ricerca astronomica ed il fondamento delle credenze sviluppate in seguito. Più un trattato di scienza che un libro filosofico esso pone le basi per l'utilizzo della magia stellare ed è il testo studiato da due secoli per la formazione degli astromanti, a cui diaconi ed altri ecclesiastici hanno accostato lavori di eminenti saggi ed eruditi. In esso si trovano carte stellari e tabelle dei movimenti di sole e luna.

L'astro interiore è il primo vero libro religioso risalente agli anni immediatamente precedenti l'esilio dalla Corrovia. Iniziato da Iunan, venne concluso da Maszevic dopo l'arrivo in Dardania. Qui viene presentato in maniera molto semplice il sistema di credenze elaborato dal leggendario patriarca, presentando il “cosmo” come basato sul basilare binomio di luce e ombra, realizzato dalla presenza del sole e della luna e dal loro potere sulla vita degli uomini. Il testo transita poi nelle proprietà divine dei due astri e delle dodici costellazioni, e di come questi due sistemi siano complementari ed intrecciati con le schiere degli angeli.
Le Cento luci è il libro di insegnamenti morali e di genesi del creato, scritto sempre da Maszevic nei primi anni dalla fondazione di Ferlas e l'insediamento in Dardania. È da qui che sono stati estrapolati i precetti dell'Ascensione e dove è stata riportata la dottrina sull'aldilà.

IV.b Gli angeli

Associati agli dèi sono gli esseri provenienti dalle stelle. Esseri che la mitologia ed il culto presentano come divinità minori: araldi, messaggeri e campioni. Creature dalle fattezze umane ma di imponente bellezza e forza, dotati di altissimo intelletto ed un numero variabile di ali.
Gli angeli sono organizzati in proprie gerarchie basate sulla purezza dell'anima e del compito che ricoprono nelle sfere celesti, con una relazione non meglio specificata dai teologi fra il loro potere e la quantità di luce che possiederebbero. Tutti loro fanno capo a sei arcangeli superiori – gli esarchi – scelti fra i più puri in un tempo immemore come simulacri della potenza degli dèi, e descritti come incarnazione di un particolare concetto o virtù. Essi sono:

Mikha'el, l'arcangelo primarca e vicario del Sole. Il guerriero divino e cavaliere astrale, il generale delle armate degli angeli contro i mostri nati dall'ombra tra le stelle e dal cuore degli uomini. È il patrono dei guerrieri, dei guardiani e di chi possiede un potere. Viene rappresentato con sei coppie di ali dorate con una lancia, una spada ed uno scudo.
Raka'el, l'arcangelo diarca, il possessore delle prime leggi, colui che sottopone al giudizio ultimo le anime che ascendono verso il Cielo, garantendone l'accesso alle schiere o bandendole nel buio cosmico. Da lui Maszevic avrebbe ottenuto l'ispirazione per le leggi di Dardania e viene invocato all'inizio delle sentenze. È il patrono degli avvocati, dei giudici e di chi ha a che fare con la legge. È rappresentato con quattro paia di ali bianche e brandisce una bilancia ed una pergamena.
Rapha'el, l'arcangelo triarca e l'araldo della Luna. Il conoscitore dei segreti del corpo e della mente, del loro funzionamento e della loro relazione con il mondo. Viene invocato nelle preghiere di guarigione ed è il patrono dei medici, degli speziali e di alcuni alchimisti. È rappresentato con quattro paia di ali argentate con in mano un'ampolla ed una fiamma.
Gavri'el, l'arcangelo tetrarca e araldo del Sole. Il messaggero che fa da tramite tra gli dèi ed il mondo, realizzando le decisioni prese in Cielo sul mondo. Viene invocato nelle preghiere e nei rituali per portare la supplica al cospetto degli esarchi e delle divinità. In quanto messaggero è associato ai fenomeni naturali e protettore dei viaggiatori, ambasciatori e di coloro che sono dispersi. È rappresentato con tre paia di ali bianche mentre tiene in mano un bastone ed una lanterna.
Baraqi'el, l'arcangelo pentarca, il possessore di tutta la conoscenza, dello studio degli astri, il primo essere con cui venne a contatto Iunan durante la sua ricerca, invocato durante gli incantamenti ed i rituali più complessi. È il patrono degli studiosi, dei sacerdoti, dei naviganti e degli artigiani. È rappresentato con tre coppie di ali bianche mentre mantiene in mano un libro ed uno strumento di misurazione o un attrezzo da lavoratore.
Uri'el, l'arcangelo esarca e araldo sia degli dèi che degli altri arcangeli per sua scelta. L'incarnazione della punizione così come della redenzione, segue i comandi di Raka'el in quanto suo fratello e rappresentante del lato violento e spietato della legge tanto quanto dell'inviolabilità della misericordia, viene invocato alla fine delle sentenze. È rappresentato con tre coppie di ali bianche mentre imbraccia un arco.

Un misterioso e oscuro testo apocrifo ,“L'altra luna”, circolante nel patriarcato in forma di singoli fogli manoscritti e proibito poiché definito eretico, aggiungerebbe due variazioni alle schiere angeliche canoniche: Samael ed Azazel.

Samael viene chiamato “arcangelo della morte” inteso come personificazione dell'azione decadente e annichilente del tempo, ricollegata alla fragilità dell'esistenza. Il nome stesso si presta al significato offerto di “veleno di dio” ed alla digressione riportata dai vari frammenti scoperti, impregnata di un pessimismo derivante dalla realizzazione dell'intrinseca fragilità dell'essere.
Il “settimo arcangelo” impersona il vivere sotto ogni aspetto, includendo le condotte negative definite dai precetti dell'Ascensione, ritenute uno dei modi per accedere anzitempo allo stato di beatitudine tipico degli angeli ma negato agli uomini poiché potrebbero raggiungere così i loro dèi.

I samaeliti pertanto osservano l'esistenza del precedente pantheon, ma lo ritengono debole e vigliacco e preferiscono l'inevitabile transitorietà dei piaceri davanti alla marcia del tempo, all'ipocrisia della continenza solo forse ricompensata, abbracciando uno stile di vita edonistico o nichilista in base alla personalità di ciascuno; aggrappandosi a qualcosa di più tangibile delle preghiere e dei tramonti.
Si raccolgono in piccole comunità ben nascoste dall'autorità secolare e spirituale, proteggendo i loro membri come una vera e propria setta, mettendo a tacere chi ha intenzione di tradire e custodiscono gelosamente eventuali frammenti del libro apocrifo. In genere i samaeliti raccolgono persone di ogni strato sociale, ma prevalentemente si compongono di emarginati, disadattati o semplicemente chi non riesce (o non vuole) conformarsi all'ordine costituito. La sua rappresentazione lo vede come incappucciato, con un becco animale sporgente e cinque paia di ali nere.

Azazel è riportato come “angelo nero” dotato delle caratteristiche e dei poteri di un arcangelo, presentato come una figura ambigua e in virtù di ciò ritenuta pericolosa da alcuni. Rispetto agli arcangeli dell'esarcato Azazel sembra possedere virtù e vizi non dissimili da quelli umani, rappresentando la conoscenza segreta e della guerra nascosta o “scorretta”, secondo alcuni. Il mito narra che Azazel era un angelo stranamente attratto dalla conoscenza, al punto di andare sul mondo a osservare gli uomini e le loro azioni, per poi consultare la Grande Libreria di Baraqi'el.
La sua sete di sapere era mal tollerata da Mikha'el, che tuttavia non aveva ancora intenzione di punirlo; così come non sapeva che l'obiettivo delle sue domande era di ricostruire gli umani nella speranza di migliorarli e ciò lo costrinse a lavorare in grande segretezza, cooperando talvolta con gli umani stessi. Quando il suo operato, che sperava di donare ai suoi superiori, fu scoperto attirò l'ira degli arcangeli che lo accusarono di voler distruggere il creato perfetto del dio Sole, di volersi porre al di sopra di lui.

Altri angeli avevano iniziato a condividere l'ambizione di Azazel, e le sue stesse creazioni erano gli erano leali. Vi fu una guerra che portò alla morte di moltissimi tra angeli e “ribelli” e delle creature di Azazel, infine sconfitto ma non eliminato. Al culminare dell'ultima battaglia Azazel usò un potente incantesimo d'illusione per nascondersi dalle centurie angeliche, svanendo dal Cielo con i suoi sopravvissuti.
Da allora Azazel ed i suoi seguaci si nasconderebbero nel cosmo mantenendo una forte presenza nel mondo, cercati e richiamati da quegli uomini che desiderano una conoscenza avanzata e proibita. Viene definito un saggio di immensa conoscenza ma di vizi altrettanto raffinati, esigendo particolari pegni affinché anche solo uno dei suoi servi (da lui realizzati) accetti una convocazione. La sua sola rappresentazione nota lo riporta con cinque coppie di ali nere.

IV.c Dottrina e mitologia

Il fulcro del ragionamento teologico è l'anima, indicata come sorgente dell'identità dell'uomo, in grado di donare l'intelletto poiché la sola parte del corpo composta interamente di pura luce delle stelle poiché proveniente da esse, mentre la carne è fatta della polvere della terra e destinata a distruggersi.
Nel momento della morte l'anima sente il richiamo del suo luogo prediletto – le stelle – e inizia il suo nuovo viaggio per raggiungere la corte del Sole dove il triarca Raka'el, l'arcangelo della giustizia, siede come giudice appena al di fuori della cintura di corpi celesti attorno al dio.
Egli percepisce la luce di cui è composta ciascuna anima, vedendone la vita e le azioni compiute e misurando quanto le azioni ne abbiano affievolito la lucentezza. Se la luce è troppo debole, all'anima viene negato l'ingresso al mondo celeste e scagliata nel buio vuoto siderale.

Ma stesso nel buio vivono e germinano esseri maligni, spinti soltanto dalla fame per la luce sufficientemente indebolita che si trova nelle anime degli uomini, quando compiono atti empi e lo splendore della luce si affievolisce sempre più. In tali momenti, queste creature sono in grado di riversarsi nel mondo per sedurre gli uomini a comportamenti sempre più immondi, cibandosi della luce corrotta e dell'imminente buio dell'anima.
Quasi tutti questi predatori dell'oscurità, definiti da Iunan “shaitan” (termine che non trova la sua radice nella lingua dardanita o corroviana), dimorano negli anfratti in assenza di luce creatisi fra le stelle, all'esterno della grande cintura di astri che avvolge il cosmo, combattuti incessantemente dalle centurie angeliche.
Il clero sostiene la mancanza di struttura e raziocinio degli shaitan, paragonandoli a bestie senza mente attratte al peccato come un lupo ad un agnello isolato. I casi di possessione e di esorcismo sono stati sempre connotati da atteggiamenti animaleschi delle vittime di queste entità, così come nemmeno Iunan sostenne di averne mai visto uno. Le sole rappresentazioni, presenti ne L'astro interiore li riportano come agglomerati informi e caotici di materia scura, con appendici eccessive ed altri elementi mostruosi.

La fine dell'esistenza avverrà quando arriverà l'incarnazione del Male e del Buio primordiale, la qualità perfettamente opposta alla luce emanata dal Sole e la Luna, proveniente dal punto più oscuro del cosmo ad eoni di distanza dal mondo. L'avanzata di uno shaitan incarnante il Peccato stesso con al suo seguito tutti gli shaitan della creazione si incontrerà con le centurie angeliche guidate dagli arcangeli e rinfoltite dalle anime reincarnate degli uomini giusti abbastanza da ascendere al servizio divino, dove gli empi si consumeranno in shaitan a loro volta. L'universo terminerà quando il Peccato tenterà di divorare Sole e Luna, che esploderanno per generare una luce abbastanza forte da annientarlo.

Il corpo di insegnamenti per una buona condotta è riassunto nei “precetti dell'Ascensione” noti colloquialmente solo come precetti, attribuiti secondo il mito tre per arcangelo ed uno ciascuno per il Sole e la Luna, per un totale di venti. Vengono insegnati come basi della vita comunitaria durante le funzioni, e sempre innalzati come sola maniera di mantenere una purezza d'animo sufficiente per raggiungere lo stato angelico dopo la morte. Essi sono:

I. “Mikha'el ti ordina di proteggere tuo padre e tua madre e coloro che vivono sotto il tuo stesso tetto”
II. “Mikha'el ti ordina di difendere il tuo tempio e chi vi si rifugia”
III. “Mikha'el ti ordina di difendere il tuo vicino e chi vive accanto a lui”
IV. “Raka'el ti comanda di obbedire alle leggi degli uomini e del Cielo”
V. “Raka'el ti comanda di obbedire agli ordini di chi possiede lo scettro o la fascia”
VI. “Raka'el ti comanda di non pronunciare menzogne”
VII. “Rapha'el ti ordina di aiutare il prossimo tuo”
VIII. “Rapha'el ti ordina di curare il corpo perché dono del Cielo ”
IX. “Rapha'el ti ordina di non guarire per fare del male”
X. “Gavri'el ti comanda di aiutare il pellegrino ed il viaggiatore a raggiungere la sua meta”
XI. “Gavri'el ti comanda di ascoltare la parola di chi viene con un messaggio”
XII. “Gavri'el ti comanda di mantenere la parola data e proteggere il messaggio portato”
XIII. “Baraqi'el ti ordina di cercare la sapienza per la gloria degli uomini e del Cielo”
XIV. “Baraqi'el ti ordina di non usare la sapienza per nuocere agli uomini e al Cielo”
XV. “Baraqi'el ti ordina di fare di ogni tua arte perfezione”
XVI. “Uri'el ti comanda di cercare giustizia secondo la legge”
XVII. “Uri'el ti comanda di perdonare e condannare secondo cuore”
XVIII. “Uri'el ti comanda di giudicare il prossimo dopo aver giudicato te stesso”
XIX. “Il Sole ti ordina: rispetta la luce del giorno ed aspetta la notte”
XX. “La Luna ti comanda: rispetta la luce delle stelle ed aspetta il giorno”

V. Magia

La magia è un'acquisizione alquanto recente della cultura dardanita e pre-dardanita e strettamente collegata (e quasi interamente limitata) alla sfera sacerdotale, vista come una possibilità ottenuta dalla fede e dalla devozione di manipolare la luce da loro emanata, e quella nella loro anima. I sacerdoti studiano i tre testi sacri per costruire le basi su cui far agire i complessi salmi e canti che permettono alla magia di manifestarsi come grazia divina.
La loro formazione viene intrapresa in uno dei monasteri dove possono fruire di ulteriori trattati di teologia ivi redatti, per risolvere ulteriori quesiti della loro fede e rafforzarla. Gli astromanti sono nella grande maggioranza membri del clero, i più potenti dei quali siedono come consiglieri dello ierofante, sono priori di monasteri e dotti teologi. Alcuni non prendono i voti maggiori e diventano predicatori itineranti o studiosi che prediligono un approccio diretto.

Quasi tutti i sacramenti e le liturgie sono incantesimi costruiti attorno alla manipolazione della luce del sole e della luna, indirizzata e concentrata in una richiesta fatta e corrisposta dagli dèi. Tutti gli incantamenti insegnati al clero sono benedizioni e divinazioni per i chierici minori, mentre l'ordine maggiore integra e ricerca formule di protezione ed esorcismo.
Tutti gli astromanti sono alla ricerca di una conoscenza perduta durante l'esodo, apparentemente conosciuta solamente a Iunan ed alla sua cerchia di discepoli più fedeli che accettarono il martirio con il loro maestro: un salmo lungo e complesso che permetterebbe di vincolare la luce di un essere angelico all'anima di un uomo nel mondo materiale, o persino di far evolvere la tipologia di luce nell'anima in uno stadio superiore.

Tuttavia queste conoscenze non sono ristrette al solo clero. Pochi sono i laici che hanno avuto accesso in qualche modo ai testi o agli insegnamenti dei maestri, ancora di meno quelli che sono stati in grado di far funzionare i salmi al di fuori del contesto sacrale. I maghi dardaniti sembrerebbero essere stati in grado di convertire le parole liturgiche in formule contratte più controllabili, sacrificando parte della connessione con l'energia divina, allungando i tempi di realizzazione.

VI. Storia

Quello che ha causato l'esilio di queste genti è stata questa stessa ricerca di conoscenza.
Uno degli studiosi di una baronia orientale – una delle poche ad avere accesso al mare – Iunan, un erudito nel campo della filosofia naturale e della materia dei numeri (che qui ho riportato come “algebra”).
Egli venne incaricato dal barone di studiare le stelle ed i loro movimenti. Iunan cominciò iniziando a riportare per iscritto le varie costellazioni ed i loro movimenti, giorno per giorno, insieme ai cicli della luna. Sembra sia dovuto a lui il perfezionamento di uno strumento nautico che noi chiamiamo “astrolabio”.
In cinque anni di ricerche, Iunan sarebbe riuscito a disegnare una mappa dei movimenti delle stelle, ed alcuni punti fissi del cielo notturno; più che sufficienti per navigare con migliorata sicurezza e precisione, ma anche in grado di rivelare alcuni segreti fino ad allora sconosciuti.

Le stelle nel cielo possedevano delle direzioni prestabilite, dei momenti in cui si ponevano al centro del cielo e la cui luce era chiaramente visibile più di altre. C'era una lenta armonia sempre in movimento, migliaia di miglia sopra la terra, che tuttavia era in grado di riversare la sua energia sulle terre bagnate dalla loro luce.
Mettendo da parte gli scrupoli del suo clero, Iunan iniziò ad adattare le preghiere e le invocazioni alla loro divinità, alle lontane stelle ed alle costellazioni: fu il primo astromante, ed il più grande eretico del suo mondo. E fu anche in grado di carpire il potere latente che le stelle e gli altri corpi celesti emanavano.
Dopo aver consegnato la carta nautica al barone, che riuscì a prevenire dopo due settimane che la nave di suo figlio naufragasse, Iunan venne ricompensato con delle terre e la carica di reggente. Egli nel frattempo, aveva continuato i suoi studi in segreto, raccogliendo tuttavia molte persone attorno al culto delle stelle e di alcuni esseri che vivevano negli spazi tra di esse.
E sempre più furono quanti più villaggi ebbe come feudi e sempre più questa religione si diffuse, così come la sapienza celeste di Iunan e la capacità di maneggiare la luce stessa degli astri. I discepoli diretti di Iunan appresero la magia per leggere i momenti propizi per viaggiare, seminare e raccogliere, sposarsi e lavorare.

La rappresaglia del resto del ducato non tardò ad arrivare, quando le messi della baronia divennero sempre più abbondanti e le persone guarivano con più facilità dalle malattie e non morivano più di stenti. Alcuni contadini divennero ricchi al punto da comprare la propria indipendenza dal loro signore. Cominciarono a girare voci di stregoneria e magia nera, che la terra fosse sotto il giogo di mostri, benedetta dai nemici del ducato e sull'orlo del tradimento.
Iunan venne inquisito quando ormai i templi agli esseri siderali erano più numerosi delle cappelle per il vecchio dio, quando ormai quasi tutto il popolo aveva accettato di riporre la loro fede nelle stelle che avevano sempre visto. Il diacono del duca lo dichiarò apertamente eretico, lui ed i suoi seguaci, chiamando a raccolta i vassalli in una guerra sacra.

Essendo lui l'attuale regnante dopo la morte del barone e la minore età del figlio, Iunan scelse di arroccare tutti i suoi soldati nel castello, approntando sette navi per permettere a vecchi, donne e bambini di fuggire. Ma anche con l'uso della magia, l'assedio volse rapidamente al peggio, in meno di due settimane. Metà del suo esercito era perito, ed era certo che il duca non avrebbe avuto pietà.
Pertanto prese una solenne decisione: ordinò agli ultimi uomini rimasti di fuggire alle navi, mentre lui ed i suoi discepoli più fedeli rimasero a preparare un rituale potente e pericoloso.
Quando gli assedianti abbatterono le mura ed entrarono nel castello, l'astromante e sette suoi allievi avevano concluso un rituale di convocazione. I loro corpi furono invasi dalla luce astrale, e uniti insieme in un unico raggio, dal quale emerse una creatura che nessuno ha mai visto, ma che sono certi capace di creare fiamme bianche come la luce delle stelle poiché videro i bagliori provenire dalla fortezza mentre prendevano il mare.
Le navi erano guidate dal primo discepolo di Iunan, Maszevic. Egli aveva salvato il più possibile della conoscenza del suo maestro, inclusa una mappa che avrebbe dovuto portare ad una terra sconosciuta, oltre la foce dei due grandi fiumi.

Il loro viaggio durò trentasei giorni, dove due navi vennero perdute ad una pestilenza e a causa di un mostro risalito dalle profondità del mare. Approdarono in una terra verde e selvaggia, meno fredda della Corrovia ma piena di altrettanti pericoli. Qui ricostruirono la comunità che avevano abbandonato, portando con loro le antiche tradizioni, la nuova fede e la recente sapienza. Maszevic fu acclamato discendente di Iunan – il primo astromante – e secondo ierofante.
Sembrerebbe che l'arrivo degli esuli su Eilean, sia dovuto ad alcuni presagi letti nelle stelle che indicherebbero un luogo segreto, visto come inizio di un pellegrinaggio.

VII. Personalità importanti

Vonich III – 25° ierofante, insignito dello scettro di Maszevic nell'anno 1418. Nominato dal predecessore Ferislav II accellerando in maniera anomala le procedure di successione, apparentemente arrivando persino a nominarlo ierofante quando egli era ancora in vita. È un risaputo oppositore di qualunque tentativo di riforma dell'apparato di stato;
Kazimier Tenderich – 48° margravio del patriarcato eletto con la stragrande maggioranza dell'assemblea presente. Tenderich viene dalle file della milizia permanente stanziata a Galaschitt ed è molto rispettato dagli uomini in arme. Dal momento della sua salita in carica ha iniziato tentativi di ridistribuzione dei poteri tra le due cariche;
Zerimisz di Lopol – ex langravio della Messenia orientale. Attualmente uno dei pochissimi laici ad aver completato la formazione da astromante e figura controversa, in quanto apologeta della magia separata dalla struttura ecclesiastica e dalla dottrina teologica.

L'Oltre

Quasi nessun dardanita si è mai spinto troppo oltre le montagne al confine orientale del patriarcato. La natura selvaggia ed inospitale, con le sue bestie ed i suoi misteri ha dissuaso anche il più zelante dei cavalieri a rimandare, o completamente abbandonare il proprio pronostico di esplorazione.
Tuttavia, se qualcuno superasse le sconfinate foreste al di là dei monti della Valle di Porta, guadasse i fiumi ed i laghi delle sue piane, dopo le aspre montagne troverebbe una terra lontana, viva e vibrante, abitata da un popolo a loro sconosciuto.

Figli di Gaia

I Figli di Gaia sono una popolazione organizzata in un'ampia confederazione tribale di dieci tribù. Sono comunità prevalentemente agrarie, di allevatori e pescatori a conduzione matriarcale, la cui classe guerriera pratica la caccia. Le tribù praticano l'artigianato ed il commercio all'interno dei territori della confederazione, spingendosi molto raramente oltre i confini da loro abitati, nelle lande che chiamano “l'Oltre”. Tutti i gruppi si raccolgono attorno a taluni luoghi ritenuti sacri: sorgenti, boschi, valli e colline. Lo stesso nome si rifà ad una loro divinità adorata: la dea madre Gaia.

Tutti i Figli di Gaia vivono un rapporto con la natura molto stretto e personale, che rasenta la simbiosi. Un Figlio di Gaia cammina sul ventre della dea, ne inala il respiro, si nutre del suo affetto e a lei ritornerà quando il suo corpo verrà sepolto. Pertanto, nonostante circondati da misteriose ed imponenti rovine della civiltà perduta del loro mito, essi aborrono la tecnologia nelle sue forme avanzate poiché essa ha alla sua base il dominio sulla natura.
La vita nella tribù si compone di duro lavoro e l'aiuto reciproco è il cardine della sopravvivenza. I villaggi raccolgono e condividono tutte le risorse primarie, e la vita fuori da un villaggio è violenta e breve. Pertanto non accoglieranno mai con ostilità uno straniero e mai gli negheranno cibo e riparo.
Ognuno è necessario e indispensabile. Uomini e donne lavorano ugualmente nei campi, accudiscono il bestiame e producono gli utensili e gli oggetti necessari; maschi e femmine combattono persino alla stessa maniera. Le uniche eccezioni valgono per gli sciamani ed i guerrieri.

La loro carnagione raramente è scura, così come i loro capelli che includono tutte le tonalità del castano e del nero; a volte persino toni sgargianti come il rosso carminio e alcune sfumature di verde. Chi nasce così viene ritenuto innaturalmente collegato alla dea Gaia e non di rado segue il cammino dello sciamano.
Il loro abbigliamento è molto semplice e funzionale: largo e fresco in estate, caldo e aderente in inverno, realizzato con pelli, pellicce e tessuti facilmente reperibili. Non di rado gli abiti vengono confezionati utilizzando pezzi di altri indumenti. Tutti sono adornati ed abbelliti con ricami e monili relativi alla tradizione tribale.

Guerrieri e cacciatori usano esclusivamente archi, fionde, coltelli, accette, lance o rudimentali mazze, aborrendo l'uso di armature e protezioni valorizzando la loro elevata resistenza fisica e agilità. Solo per la guerra vengono realizzati scudi di vimini ricoperti di pellame e dipinti con un simbolo. Pochi combattenti d'élite vestono protezioni realizzate con metodi particolari.

I. Geografia

I luoghi abitati dai Figli sono noti fra di loro come “Terra del Fuoco” nonostante non ci sia quasi niente che si ricolleghi alle fiamme. Abbracciano fasce territoriali molto eterogenee ed i limiti si sono adattati ai vari confini naturali.

Tutto a nord, la Campia Felis (altro nome con cui è nota) viene bagnata da un grande e calmo mare, il cosiddetto Mare Adriano. La fascia costiera è densamente popolata di comunità di pescatori ed è la sola per adesso ad avere genti abituate ad andare per mare, che collegano i numerosi insediamenti lungo il litorale. Ivi è presente Sidia, un grande insediamento sul confine meridionale della Grande Foresta di Garga.
Retrocedendo verso sud, fra la Grande Foresta e la grande catena di montagne al centro della Campia Felis, si apre un immenso territorio pianeggiante che tocca entrambi i confini sudorientali e nordoccidentali ed il più densamente popolato di tutta la Terra del Fuoco. È insediato da due delle quattro tribù maggiori della confederazione e porta il nome di Tabula Sannia, ufficiosamente diviso nelle due regione del Sannio Superiore e Sannio Inferiore.
Sulle pendici della catena montuosa al centro della Campia Felis, sono insediate comunità quasi esclusivamente di pastori. Con vette alte poche centinaia di metri, prolungandosi verso est fino ad aprirsi in una valle che connette il Sannio Inferiore con la Partenia. Lontano dalle rovine di un centro risalente alla Caduta, è sorto il grande insediamento commerciale di Maverum.

Oltre le Montagne Verdi si apre la Partenia, la seconda regione per estensione della Terra del Fuoco, bagnata dal Mare di Tiro a sud e dove è presente una delle montagne iconiche degli abitanti della zona da cui è nata l'idea della confederazione di tribù e l'identità stessa dei Figli di Gaia. La già alta fertilità del terreno va incrementandosi mano mano che ci si dirige verso il golfo del Monte Veso, in grado di sputare fuoco ed il cui territorio circostante è il più fertile finora conosciuto Il più grande agglomerato presente nella Terra del Fuoco sorge a metà strada fra il golfo ed il vulcano, Napartes.
A nord-ovest, seguendo il mare e la montagna, si raggiunge il primo confine della confederazione, indicato dal Monte Marso e presidiato dalla tribù dei Seteci nel villaggio fortificato di Vescia. Per di qui passano le sporadiche carovane che si dirigono ulteriormente a nord per scambiare con i popoli al di là del fiume Gariso, oltre che a difendere dalle incursioni di predoni e altri ostili provenienti da oltre le montagne.
A est il confine è più labile siccome metà è parte della gigantesca pianura del Sannio e l'altra è una parte delle Montagne Verdi. Il lato della Partenia viene presidiato dalla tribù dei Bàsili, mentre quello del Sannio Inferiore è pattugliato dagli svelti guerrieri a cavallo degli Iapigi.

II. Gestione del territorio

Lo status di confederazione di tribù concede un minimo livello di amministrazione del territorio a base locale. Le quattro regioni sono suddivise a loro volta in dodici territori, sul quale è insediata una tribù che ne detiene il possesso in quanto terra ancestrale ed è tenuta a proteggerlo dai pericoli. Ciascuna di esse ha le sue regole, le sue usanze e le sue credenze tradizionali sviluppate nei decenni antecedenti all'aggregazione, ma tutte poi hanno accettato e integrato il culto della dea Gaia.

I confini di ciascun territorio vengono delimitati dalla presenza di tronchi o pietre lavorate riportanti il simbolo della tribù in zona, posizionate lungo le strade ed i passaggi più frequentati. Questo metodo è molto utile anche per “recintare” i luoghi sacri e di culto che, quando non sono in luoghi remoti come basse montagne o fitte foreste, si trovano a ridosso di corsi d'acqua che spesso sono adoperati come confine.
Nei momenti di grande pericolo o necessità, il grande sciamano dei Dauni invoca presso la Grande Foresta l'adunata di tutti i capi. Qui vengono esaminati i problemi che rischiano di distruggere l'intera confederazione, e che quindi diventano un problema di ogni Figlio di Gaia. L'Adunata permette di votare alla maggioranza le soluzioni a tali problemi.

Uno strumento simile ma di minore portata sono le festività stagionali che vedono raggrupparsi più tribù presso lo stesso santuario per le celebrazioni. Qui, alla presenza di diversi sciamani, uomini e donne possono portare al loro giudizio e quello dei loro pari casi che non possono essere risolti nelle assemblee tribali, ad esempio dispute tra membri di diverse tribù.

III. Cultura

“Senza la terra un uomo non può vivere, che sia o meno lui a coltivarla, a pascervi il gregge o a proteggerla. Senza l'acqua che la attraversa e gli alberi che la circondano, nessuno può vivere. Un Figlio di Gaia lo sa. Lo sa mentre passa tra i rami silenzioso, quando insegue un cervo tra i rovi, quando fatica nei campi. Lo sa persino quando uccide un altro uomo o una bestia.“

- Muraca, sciamano degli Ausòni

Le tribù si sono formate indipendentemente l'una dall'altra, finché non si sono gradualmente incontrate meno di un secolo fa. Di fatto, si identificavano (e tuttora si identificano) tramite toponimi e nomi eponimi, e possedevano forme proprie di culto e divisione sociale.

Molto di tutto ciò è stato adattato o lasciato intatto dopo i primi contatti e la progressiva unione nella confederazione, ad opera dell'influenza della tribù degli Ausòni, grazie alla quale la venerazione di Gaia ed il concetto stesso dei Figli si sono affermati su tutti territori abitati.
Tre sono gli elementi comuni ad ogni singola tribù tuttavia: la ripartizione in guerrieri, artigiani e lavoratori, la venerazione di un particolare aspetto naturale come identità della comunità e la conduzione prevalentemente matriarcale delle famiglie e dei clan.
La sopravvivenza nella Campia Felis è tutt'altro che semplice. Se non è il freddo invernale, è la fame quando i raccolti non sono buoni o il bestiame è poco. Si rischia anche di restare vittime delle scorrerie dei banditi da oltre il confine o delle tante bestie che vivono nelle zone più selvagge, se si viaggia da soli. In virtù di ciò uomini e donne godono dello stesso rispetto, degli stessi diritti e gli stessi doveri.

Un insediamento in media si compone di cinque famiglie o clan, raccolti attorno ai membri anziani che esercitano la potestà su tutti i membri che non hanno ancora raggiunto l'età adulta. Generalmente essi sono a base matriarcale; gli appartenenti al clan – figli, nipoti, zii, nonni, cugini – tendono a vivere in ampie case lunghe, costruite in legno e corteccia. In questi casi i figli nati da una coppia mantengono il nome del clan della madre, ed è il fratello di questa a detenere la potestà sui figli anziché il padre.
Le terre che circondano il villaggio sono proprietà comune, così come le prede ottenute dalla caccia. Tutti sono quindi tenuti all'inizio a lavorare nei campi o accudire il bestiame, o in qualunque attività economica sia alla base del sostentamento della comunità (a volte tutte e tre). I più giovani o i meno portati ai lavori pesanti aiutano con compiti più semplici o iniziano ad imparare come fabbricare oggetti ed attrezzi dagli artigiani. I materiali sono legno, pietra, osso, corno, cuoio e fibre naturali.

Lo scarso metallo posseduto è estremamente difficile da lavorare e viene reperito da rari cumuli ritrovati in caverne o in prossimità di montagne. È posseduto solamente dai capi più potenti ed i guerrieri più valorosi, poiché ottenerlo è spesso complicato se non direttamente fatale.
I più abili con le armi si dedicano a tempo pieno alla caccia ed alla guerra quando necessario, concentrandosi sulla prima, che spesso significa dover sfoltire gruppi di animali che minacciano il villaggio. In base alla regione ed alla tradizione della tribù, i guerrieri possono preferire armi o stili particolari, ad esempio i cacciatori a cavallo degli Iapigi o le guerriere delle Ernici. Essi pertanto hanno grande resistenza fisica ed un'ottima adattabilità ai terreni difficili.

Ogni tribù ha almeno un'entità a cui si sente legato o un discendente, a cui dedica una struttura totemica al centro del villaggio. Esso varia da un animale ad una pianta, o in alcuni casi un membro particolarmente importante di un villaggio. La tribù si raccoglie attorno al totem quando gli anziani del villaggio narrano le storie della creazione, quando si celebrano il raccolto e la pioggia, quando c'è una nascita o un'unione e quando il popolo si prepara per la guerra.
Tutti sono liberi di pregare al totem ed offrire un dono sul braciere sacro, ma un gruppo in particolare è in grado di dialogare con lo spirito all'interno e di trarne potere e conoscenza. Gli sciamani sono pochissimi nelle tribù e ve ne è nominalmente uno solo, con al suo seguito diversi iniziati. Egli ed i suoi aiutanti sono incaricati di aiutare la comunità custodendo il sapere tramandato da tempo immemore, risolvendo dispute e guarendo i malati e i feriti.

IV. Le tribù

Delle dieci tribù, quattro sono quelle più numerose e potenti, fautrici dell'unificazione e punto di riferimento dell'intera confederazione. Le altre sei sono tribù minori, con alcune che possiedono una spiccata unicità cultura di pratiche e usanze.

Adriati: Situati a nord sulle sponde del Mare Adriano, sono una tribù di pescatori nativa del Sannio, e i soli insieme alla loro tribù vicina dei Siceli ad aver sviluppato rudimentali canoe e piroghe, che permettono loro una discreta mobilità lungo tutta la costa settentrionale. Sempre assieme ai Siceli sono in grado di produrre il sale, che viene acquisito da praticamente ogni altra tribù per conservare il cibo.
È una delle tribù antiche nonché l'ultima ad aver incluso il culto di Gaia, preferendo a lungo la venerazione di Girele, lo spirito delle acque dalla forma di rettile.
I loro guerrieri sono particolarmente versati nell'uso della lancia e dell'arpione data la necessità di cacciare i sinuosi pesci, lunghi a volte persino un metro e mezzo. I più forti e coraggiosi sono stati visti indossare rudimentali corpetti realizzati con strane scaglie.

Ausòni: Insediati nella regione centrale, dalle pendici meridionali delle Montagne Verdi fino al secondo mare, sono la tribù nativa della Partenia e la prima ad abbracciare il culto della dea madre. Vantano il territorio più fertile dell'intera Terra del Fuoco. Sono stati i fautori dell'unificazione delle tribù nella confederazione e considerati la tribù più abbiente.
Oltre ad una buona terra, essi possiedono un tipo di bestiame molto particolare, addomesticato negli anni. Una sorta di grosso maiale dalla pelle molto scura, imparentato con i cinghiali selvatici della regione. Esso è mansueto, si riproduce facilmente ed è molto adattabile, e insieme ad un tipo di bue selvatico ( il “vaoru”) sono alla base della prosperità della tribù.
È una delle Tribù antiche e richiama discendenza dalla leggendaria figura del Savio, che avrebbe tramandato le conoscenze custodite dai loro sciamani.
Alcuni loro guerrieri usano frecce con la punta realizzata in uno strano guscio di mollusco, tagliente e fragile, che tende a spezzarsi in molti frammenti una volta nella ferita.

Dauni: Occupano la regione a ridosso della Grande Foresta di Garga, alla fine della zona controllata della Grande Pianura. Da tempo immemore alleati dei limitrofi Iapigi, sono la tribù il cui sciamano possiede il privilegio di convocare l'Adunata della confederazione, dopo essere stato riconosciuto dagli Ausòni gran sacerdote di Gaia. Essi hanno comunque un forte attaccamento ad Arupune, lo spirito del cielo che abita la Grande Foresta, incarnato in un nibbio che è il loro simbolo.
Il loro centro più importante sorge ben dentro la foresta, sulle rive del lago Uriano. Anche loro un popolo quasi esclusivamente di pastori, godono di un forte sostegno da parte degli Iapigi e sfruttano la relativa sicurezza dei loro villaggi e strade, per scambiare manufatti realizzati con il legno della foresta sacra.
Tra di loro, i guerrieri hanno una grande tradizione di caccia e combattimento che mima quella dell'uccello Arupune. Con quasi innaturale silenzio e calma vagano tra gli alberi, spesso arrampicandovisi, e colpendo fulmineamente la preda saltandole addosso. Spesso si adornano con le piume del nibbio e prediligono coltelli ricurvi che ricordano gli artigli del loro animale totemico. Raccogliere le piume è il rito di passaggio per divenire guerrieri.

Iapigi: Si trovano a sud della Grande Foresta, sparpagliati all'inizio su tutta la grande pianura del Sannio Inferiore. In contatto con i vicini Dauni fin da quando riescono a ricordare, avevano stretto con loro un'alleanza antecedente alla confederazione. Furono una delle poche tribù ad opporsi con la forza al disegno unificatore degli Ausòni, persuasi poi dagli alleati ad unirsi alle altre tribù.
Controllano le grandi distese con una risorsa del tutto esclusiva a loro: i cavalli. Sono presenti nella loro tradizione dai tempi immediatamente posteriori alla Caduta, e sono il loro mezzo di spostamento, di sostentamento e di difesa, oltre che il loro animale guida, Icaburu.
Sono in grado di cacciare i numerosi branchi di erbivori selvatici che popolano le praterie e di assicurare un costante contatto fra i loro insediamenti. Hanno massimizzato il loro uso allevando una razza ibrida adoperata esclusivamente come bestie da soma; ciò ha comportato che il loro insediamento di Maloverum diventasse un florido crocevia di scambi.
I loro guerrieri sono formidabili arcieri a cavallo ed i più valorosi usano elaborate lance con punta di corno.

Seguono alcune tribù degne di nota:

Caudini: Sono situati in una piccola sacca di territorio sul confine meridionale del Sannio Inferiore, schiacciati tra gli Iapigi ed i loro alleati Oscini. Sono una tribù che raramente sceglie di lasciare i loro territori, di natura molto schiva. Forse la sola tribù ad aver scelto Corusu come spirito guida e con la stranezza di avere tutti i capelli corvini ed occhi ambrati.
I loro guerrieri sembrano essere in grado di vedere al buio, tanta la loro agilità e disinvoltura con cui si muovono nella notte. Sono soliti indossare piume di corvo come simbolo di prestigio.
Ernici: Insediati nella stretta valle a nord della Partenia e antichi alleati dei Seteci, sono una tribù dove le donne possiedono il potere assoluto. Le loro guerriere sono rinomate per la grande ferocia e per l'usanza di dipingere il loro corpo con disegni rossi per andare in guerra.
La loro società è talmente impregnata dell'usanza guerresca, che le dispute e la scelta del capo avvengono tramite duelli. Il loro spirito guida è Morugra, personificato in una sorta di ariete.
Curiapi: Stretti alleati degli Ausòni, vivono sulle pendici orientali del monte Veso e sono testimoni dell'attività vulcanica dei loro territori. La tribù prospera con l'altissima fertilità del suolo attorno al vulcano, al punto da aver “scoperto” un nuovo aspetto della dea Gaia che chiamano “signora del fuoco”.
I loro guerrieri mostrano monili e armi di scura roccia lavica estremamente tagliente ma poco durevole. La Signora del Fuoco è rappresentata come una fiamma dentro una montagna.

V. Religione

I lunghi anni di isolamento delle tribù hanno segnato la nascita di varie venerazioni di figure divine, che nella cultura dei Figli di Gaia si sono traslate nella Dea Madre ed in vari spiriti guida. Il fondamento di questa religione è la presenza in tutte le cose viventi di uno spirito, la rappresentazione della sua essenza vitale.
La prima è stata una divinità autoctona della tribù degli Ausòni, esportata al di fuori delle loro comunità quando intrapresero il lungo periodo di contatti e scambi che ha segnato la fioritura della confederazione. Tale figura trova le sue origini nei miti della tribù ed è collegata al “Savio”, la figura che avrebbe tramandato agli Ausòni tutto il sapere che possiedono, oltre alla figura di Gaia come spiegazione della loro esistenza e sopravvivenza.

Gaia è ovunque. L'immaginario collettivo ne vede la terra come suo corpo, le foreste come i suoi capelli, le colline e le montagne sarebbero sia i suoi occhi che i suoi seni. Quest'ultima interpretazione è avallata da una tribù limitrofa agli Ausòni, i Curiapi, che avendo vissuto le eruzioni del monte Veso sono convinti che la dea emetta il suo latte come fiamma, per purificare e rendere fertile la terra.
Ella creò gli uomini prendendo pezzi del suo corpo, riempiendoli di acqua e soffiandovi dentro la vita. Per poter dare loro un luogo dove vivere, scelse di adagiare il suo corpo sull'immenso oceano dei tempi prima dell'esistenza, lentamente addormentandosi e dando così forma al mondo. Il suo stato di dormiveglia non le permette più di elargire doni come faceva prima della creazione durante il Sogno. Adesso sono gli uomini a doverli raccogliere, accudendo le creature e lavorando la terra.
Le altre tribù, partendo dalle altre tre maggiori degli Iapigi, Dauni e Adriati, hanno sviluppato sistemi totemici indipendentemente e tuttavia con divinità comuni, tutte relative alla fauna circostante. Sono quattro i più diffusi spiriti guida rappresentati sui totem dei villaggi. Al mito di Gaia sono stati aggiunti questi grandi spiriti tramite secoli di sincretismo.

Arupune è lo spirito dei cieli, del vento e della tempesta. È così grande che quando vola sulla terra è in grado di spostare le nuvole ed oscurare il cielo; sbatte la coda per generare tuoni e fulmini. È rappresentato dal nibbio, uccello nativo della Grande Foresta di Garga.
Viene adorato principalmente dai Dàuni, ma si è diffuso gradualmente in tutta la confederazione, rimanendo preponderante nelle regioni montane. È associato alla vista e alla famiglia, siccome il nibbio protegge con grande ferocia le uova, guardando intere valli dal suo picco, ed è visto come re delle bestie del cielo. Viene simboleggiato da un becco o un ventaglio di piume.

Corusu è lo spirito della notte e dell'inganno. Si trova sempre lontano dagli scontri e quasi mai agisce allo scoperto, osservando e aspettando. È incarnato dal corvo che vola in silenzio, osservando per poi nutrirsi del lavoro altrui.
È uno spirito adorato da pochi, dai reietti o dagli esiliati, poiché il corvo è simbolo di inganno e astuzia, di colui che non lega con la comunità e che non è affidabile. Viene simboleggiato da due piume nere.

Gaia è la dea madre, creatrice del mondo. Tutte le terre emerse sono il suo corpo, distesosi sulle acque per accogliere la vita. Si trova in uno stato di torpore che è soggetto a momenti di quasi risveglio in primavera ed estate o di sonno profondo, come in inverno e autunno.
È la sola divinità adorata in tutta la Terra del Fuoco, vista come colei che elargisce il dono della vita e del sostentamento. Universalmente concepita come una donna dalle fattezze giunoniche, è associata alla vita e alla guarigione, laddove le madri accudiscono i figli durante i loro momenti incerti. Viene rappresentata da un cerchio diviso in quattro o da due cerchi intersecati.

Girele è lo spirito delle acque e di tutti gli animali che le abitano. Egli è rappresentato come un grande animale anfibio, dotato sia di scaglie che di pinne ed abita liberamente tutti i corpi d'acqua. I movimenti delle sue pinne causano le maree e le esondazioni, e possono spingere i pesci a riva.
Adorato prevalentemente dagli Adriati e da tutte le tribù minori lungo la costa o nelle vicinanze di un fiume, viene associato alla calma ed alla pazienza tipiche dell'animale che rappresenta, oltre che necessarie durante la pesca e la caccia. Viene simboleggiato da una pinna.

Icaburu è lo spirito delle praterie, l'antenato di tutti gli animali che vivono nelle pianure. Instancabile e veloce nella corsa è incarnato dal cavallo, diffuso nel Sannio. Viene associato alla velocità ed alla resistenza fisica, oltre che alla comunità poiché i cavalli selvatici vivono in mandrie.
È adorato quasi esclusivamente dagli Iapigi e le poche tribù nei loro dintorni, data la scarsa presenza di cavalli al di fuori del Sannio. Il suo simbolo è una zampa di cavallo o una freccia.

Morugra è lo spirito delle montagne e della neve. È rappresentato dai grandi arieti che popolano le Montagne Verdi. Le sue corse ed i suoi colpi contro la roccia causano le valanghe e la caduta delle rocce, che rivelano sorgenti d'acqua e passi montani. Tutti gli animali montani sono suoi sudditi.
Viene adorato esclusivamente dalle donne guerriere degli Ernici, e associato alla determinazione e alla forza fisica, tipiche dell'ariete quando carica il nemico. Questi attributi sono abbracciati dalla tradizione guerriera delle Ernici e dalla loro società. Viene simboleggiato con un paio di corna.

Paiulu è lo spirito dei predatori, l'animale in agguato nel buio tra gli alberi pronto ad aggredire la preda. Viene incarnato dal lupo che abita le foreste e che aggredisce gli animali soli, con ferocia e dedizione; è associato al pericolo quanto alla guerra.
Pochi sono coloro che apertamente lo venerano al di là delle offerte per acquietare lo spirito, ed evitare che cacci i membri della comunità. Chi lo erige a spirito guida viene visto come pericoloso, ma dedicato alla vita comunitaria. Il suo simbolo è una zanna.

VI. Magia

La magia dei popoli della Campia Felis è stata “costruita” per così dire, nei lunghi anni fra la costituzione delle prime comunità e la diffusione delle credenze animistiche.
Certe sono due cose: che la “magia” viene vissuta e realizzata come esperienza comunitaria; è la ricompensa del legame e del rispetto intessuti fra la natura e gli uomini, dove alcuni di questi riescono a prendere l'energia degli spiriti ed infonderla nei loro compagni.

Inevitabilmente, oggetti a contatto con cose che possiedono uno spirito – nominalmente uomini ed animali – sono in grado di assorbire nel tempo parte dello spirito del possessore, divenendo legati ad esso ed in grado di esercitare un'influenza. Questo permette agli sciamani di porre benedizioni (o maledizioni) su delle persone tramite un loro possedimento ed un rituale specifico.
In una maniera simile lo spirito di un animale o di una pianta può venire richiamato ed incanalato per garantirne le virtù ad un recipiente, ad esempio un guerriero benedetto tramite lo spirito di Icaburu sentirà la sua velocità e resistenza aumentare.

Centrale a tutte le benedizioni e maledizioni è un'effige costruita con i simboli degli spiriti ai quali si chiede aiuto, che è quasi sempre un totem posto al centro del villaggio. Totem piccoli abbastanza da venire trasportati sono frequenti fra i viaggiatori. È stato possibile sostituire al totem un feticcio realizzato con un'asta di legno adornata con oggetti che rappresentano l'animale totemico (piume, zoccoli, scaglie ecc.).

VII. Storia

In mezzo al vuoto che ha portato la fine di questa loro vecchia civiltà, molti sono morti. Molti, per strappare al nuovo domani potere e ricchezza, sono divenuti banditi. Altri ancora, si dedicarono a ricuperare il possibile dalle macerie dei tempi che furono, e di ricostruire da lì, con l'ausilio di conoscenza e progresso. Altri ancora vollero solo vivere la loro vita in pace, lontani dai pericoli di tagliagole ed espansionisti.
Tuttavia, da soli non si va molto lontano. Al di là di grandi distese di rovine e detriti, nelle terre lontane già ai tempi che precedettero la “caduta”, gli uomini ricominciarono a a popolare e costruire là dove si trovavano, con i mezzi a loro disposizione. Sopravvissero ed in seguito prosperarono tramite un alleato tanto potente quanto chiaro e onnipresente: la terra.

Gradualmente, queste comunità di contadini ed allevatori,all'inizio estremamente frammentate, chiuse nelle loro comunità anche di poche decine di individui, intrapresero sparuti scambi tra comunità confinanti; il baratto più comune era grano per indumenti.
Nel tempo i vari gruppi, tra di loro conosciuti come gli abitanti di una particolare valle o foresta, o per il mestiere più diffuso nella loro comunità, aumentarono la frequenza dei contatti grazie anche al ritorno dell'utilizzo degli animali per il commercio, e dalla tendenza di comunità vicine a festeggiare i momenti di semina e di raccolta – i momenti in cui la Terra si spogliava del suo vecchio guscio per l'inverno e ringiovaniva con il calore estivo – celebrandoli presso sorgenti e corsi d'acqua ritenuti sacri. Villaggi vicini videro così simili le loro usanze da iniziare a considerarsi un'unica tribù, unita dalla protezione di una particolare entità naturale.

Un uomo anziano, che dicono tra questi popoli fosse un erudito così sapiente dei segreti della terra da essere sopravvissuto alla “Caduta”, era alla guida della tribù degli Ausòni. Questa tribù aveva prosperato per anni nel relativo isolamento fra montagne e mare, in una piana fertile e popolata da erbivori docili. L'anziano capotribù spese molti inverni a condividere la sua immensa saggezza e conoscenza con i villaggi limitrofi all'insediamento principale della sua tribù, permettendo la prosperità degli Ausòni.
La regione si raccolse dietro il grande villaggio ed iniziò l'esplorazione ed il contatto con tutte le altre tribù conosciute, nel lascito dell'ultima volontà del capotribù prima che spirasse.
I loro sciamani spiegarono alle altre tribù che il modo nel quale vivevano era concesso da una dea gentile e misericordiosa: Gaia, la Terra, quella che loro curavano e difendevano e che pertanto concedeva in cambio sostentamento e sicurezza, a patto che non cadessero nell'errore di volerla sottomettere, come era accaduto agli uomini che avevano causato la Caduta.

Questo retaggio comune e la figura della nuova dea trovò consenso negli altri villaggi e tribù. Là dove accettarono la dea Gaia, i loro culti totemici si diffusero fra gli altri gruppi. Ben presto venne a formarsi una confederazione di tribù, sotto l'egida delle quattro più potenti tra cui gli Ausòni.
Il Savio (il titolo con il quale essi parlano di quest'uomo, ma di cui non conoscono il nome), aveva lasciato in eredità agli sciamani ausòni delle conoscenze segrete che da allora custodiscono, come taluni modi di costruire oggetti.
Il modo con il quale sono soliti definirsi agli esterni, per rappresentare il loro sangue purificato dai peccati degli uomini precedenti e sempre legato alla terra, è di sentirsi suoi figli. Figli di Gaia.

VIII. Personalità importanti

Maricus delle Foglie Rosse: Capotribù degli Ausòni. Rinomato per la sua abilità di oratore e mediatore.
Vanaia di Erchemia: Capotribù delle Ernici. Salita al potere dopo aver sconfitto la precedente capotribù, Masia la Segnata.
Ianio il Bianco: Capotribù degli Adriati. Conosciuto per la sua volontà di esplorare via barca il resto del territorio.
Arumeco delle Cento Frecce: Capotribù degli Iapigi. Il miglior arciere dell'intera tribù e fautore di molte incursioni a sud.
Tarsaco la Roccia: Capotribù dei Curiapi. Un uomo di immensa stazza e forza fisica che è famoso per brandire enorme mazza ed una corazza di rocce e legno.
Loenisa di Sidia: Capotribù dei Dauni. Nominata personalmente dal loro grande sciamano perché apparsa in una sua visione come favorita di Gaia e Arupune.
Sicatio il Corvo: Capotribù dei Caudini. Poco altro è noto, se non che nelle sue apparizioni alle festività ha sempre indossato un copricapo di piume nere dotato di becco.

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